In principio fu Facemash, antenato del concetto di rete sociale, creato nel 2003 e dismesso per cause di forza maggiore pochi giorni dopo. Per crearlo Zuckerberg aveva usato le foto degli studenti di Harvard, bucando zone protette della rete dell’Università, che gradì poco l’intrusione, obbligando il giovane e ancora sconosciuto studente a “premere il tasto off”.
Giusto il tempo di rivedere le proprie posizioni ed ecco nascere Facebook (all’inizio “thefacebook.com”), il fenomeno che tutti conosciamo e che ha impiegato meno dei 10 anni che compie per stravolgere abitudini, modi e linguaggio. Oltre ad avere offerto e introdotto profondi cambiamenti ha contribuito, in virtù del miliardo e duecento milioni di utenti, a divulgare le mutazioni che non gli si possono direttamente imputare.
Poke, like, tag e unfriend, sono solo alcune delle parole entrate nel nostro quotidiano tramite Facebook. Non le ha inventate né introdotte il social network per eccellenza, ma di certo ha contribuito a sdoganarle nel dizionario della lingua italiana.
La sociologia ha trovato giovamento da Facebook, riuscendo ad attingere a campioni vasti di persone. Ciò che prima poteva essere fatto con indagini e questionari, ora può essere fatto osservando. Tra le ricerche più gettonate appaiono quella relativa alla produttività sul posto di lavoro, che aumenta (sempre stando agli studi svolti) del 9% fra le persone che ogni tanto si concedono una pausa e danno un’occhiata a Facebook. Un altro studio interessante dimostrerebbe che chi pubblica molte “selfie” (altra parola alla cui diffusione Facebook ha contribuito) è piuttosto asociale. Di ricerche fatte tramite osservazione dei profili e delle interazioni tra utenti ce ne sono un’infinità. C’è anche il rovescio della medaglia – e non stiamo parlando delle indagini sociologiche inutili; per restare in tema, uno studio congiunto svolto da Microsoft Research e dalla University of Cambridge dimostrerebbe che analizzando i soli apprezzamenti che un utente esprime (i like) è possibile ricostruirne fascia d’età, sesso, orientamenti, etnia, umore e a grandi linee anche la personalità. Tutto ciò con una precisione dell’80%, tanto basta a introdurre altri cambiamenti.
Quello che dovrebbe essere il nuovo concetto di privacy è spiegato, manco a dirlo, dallo stesso Zuckerberg che ritiene vetusto e sorpassato il modo comune di intendere la riservatezza. A suo discapito le numerose ammende comminate a Facebook dalle diverse entità a garanzia della privacy, a corroborare il suo punto di vista c’è il fatto che, ormai, siamo quasi assuefatti a visualizzare e ricevere pubblicità legate a ciò che dichiariamo essere di nostro gradimento.
La questione riservatezza non è la sole fonte di gioia dei pubblicitari: Facebook cambia rapidamente il suo ruolo nella decisione degli acquirenti, tanto è vero che in Italia 8 persone su 10 si fidano dei commenti e dei consigli degli “amici”. Finisce quindi l’era della pagina Facebook per fidelizzare, inizia quella dell’acquisizione di clientela. Non è un caso (casomai conseguenza) che Facebook stia diventando sempre più uno strumento strategico per il marketing. E questo riguarda i mercati più disparati, compreso quello del lavoro.
Sempre più selezionatori di risorse umane e datori di lavoro danno un’occhiata ai profili Facebook dei candidati per cercare di avere un’idea più esaustiva delle persone con cui sono confrontati. Dal canto loro (e lo conferma l’ennesima ricerca fatta a proposito del social di Menlo Park) chi cerca impiego lo trova con maggiore facilità se ha legami forti con i propri “amici”.
Le email e gli SMS costituiscono un modo di comunicare piuttosto vecchio, a farne diventare le cellule ancora più decrepite ci sono i canali di comunicazione aperti (o rilanciati) da Facebook. Messaggi lasciati sulle bacheche, messaggi privati o istantanei sono metodi di interazione più adeguati alla frenesia dei giorni d’oggi. Lettere e cartoline sono ormai dinosauri.
I social network, Facebook incluso, sono utilizzati anche come strumento di informazione. Lo dice un’indagine recente (novembre 2013) svolta dal Pew Research Center. Motivo sufficiente a spiegare i recenti acquisti di Zuckerberg (su tutti Branch) e Paper, il nuovo aggregatore di notizie pubblicato proprio ieri. Anche in questo caso, le informazioni non riguardano solo la cronaca, ma anche quelle personali.
Mark Zuckerberg è la nuova Penelope. Se è vero che molte coppie si formano grazie alle frequentazioni social, è pure vero che Facebook disfa ciò che tesse: secondo il sito Divorce Online (UK) la parola Facebook appare in una richiesta di divorzio su tre.
Facebook è (da tempo) un fenomeno di massa e come tale cambia il quotidiano anche di chi non lo ama particolarmente.
Qui sotto le pietre miliari e tutti i numeri di questi primi 10 anni.
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