Passeggiare nello Spazio e guardare la Terra da un deserto roccioso ti mette addosso un’emozione strana. Deve essere per questo che dopo il suo ritorno a casa, Edwin Buzz Aldrin non ha mai smesso di sognare in grande. Lui, collega di Neil Armstrong, è stato il secondo essere umano a mettere piede sulla Luna, ma qui sul nostro pianeta è in prima linea a battersi perché gli Stati Uniti costruiscano una base lunare permanente. Ma anche le lune di Marte non sarebbero male. Insomma, verso l’infinito e oltre.
La citazione calza a pennello, visto che è stata proprio la figura di Aldrin a ispirare i creatori di Toy Story quando è arrivato il momento di dare un nome all’astronauta Buzz Lightyear. Una coincidenza davvero fortunata, visto che il secondo moonwalker all’anagrafe era registrato come Edwin Eugene, nato a Glen Ridge, New Jersey, il 20 gennaio 1930. Il nome Buzz lo ha scelto ufficialmente solo nel 1988, quando ha trasformato il suo soprannome da bambino – “buzzer”, dalla parola “brother” così come era pronunciata dalla sorella – in un vero segno di riconoscimento.
Qualunque sia il nome, nel curriculum dell’eroe spaziale c’è tutto: diplomato all’accademia militare di West Point, pilota di jet durante la guerra di Corea e dottorato in scienze astronautiche al Mit. Aldrin è entrato nei programmi spaziali della Nasa nel 1963 e ha partecipato tre anni dopo come pilota alla missione Gemini 12. Poi, il 20 luglio 1969, c’è stato lo sbarco sulla Luna con la missione Apollo 11; la storia è nota. Purtroppo, dopo quell’impresa, la vita di Aldrin subì una brusca virata: lasciò l’agenzia statunitense nel 1971 – dopo aver maturato 289 ore di volo nello Spazio – e passò al comando della Test Pilot School della Air Force.
Ed è proprio qui, sulla Terra, che per Aldrin cominciano i problemi. A partire dagli anni ’70, l’ex astronauta attraversa un lungo periodo di depressione. Come racconta nella sua autobiografia, Magnificent Desolation, non riusciva a affrontare serenamente la vita di tutti i giorni, tanto da cercare molto spesso rifugio nell’alcol. Per fortuna le cose sono cambiate dopo il terzo matrimonio con Lois Driggs, e la passione per i viaggi spaziali è tornata più forte che mai. Con la sua ShareSpace Foundation, Aldrin si è messo di in testa di fare il possibile per portare gli esseri umani nello spazio e stabilire degli avamposti permanenti vicino alla Luna.
A volte, però, le sue idee sulle conquiste spaziali sono attraversate da una follia quasi mistica. In un’intervista del 2009, affermò che una delle ragioni per cui l’uomo deve esplorare la galassia è quella di scoprire i suoi misteri: come il controverso monolito avvistato su Phobos – una delle lune di Marte – che, a suo dire, avrebbe origini divine. Tuttavia, Aldrin sa essere anche parecchio pragmatico. Nel 2002, il regista Bart Sibrel lo aggredì verbalmente in pubblico accusandolo del fatto che lo sbarco sulla Luna non fosse altro che una grande menzogna architettata ad arte. Sentendosi dare del ladro, vigliacco e bugiardo Aldrin reagì alle provocazioni sferrandogli un pugno in faccia.
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