Cosa non mi piace della campagna #coglioneNo

Sigfrido Maina Non categorizzato, Senza categoria 0 Comments

Alcune premesse: sono completamente d’accordo con il messaggio lanciato dalla campagna #coglioneNo. È giusto e sacrosanto: 1) combattere chi considera i giovani carne da macello; 2) combattere chi considera i giovani creativi elementi sfruttabili, pensando erroneamente che il divertimento, che si presume garantito dalla loro professione, sia una retribuzione più che sufficiente.

coglioneNo

La creatività è una professione che richiede preparazione, competenza e una certa dose di perseveranza. Perché come tutte le professioni non viaggia sull’ebrezza perenne di un’eroica auto esaltazione, ma passa attraverso lunghi periodi di noia contrassegnati da una forma di manovalanza forzata (lo sanno bene tutti i cosiddetti creativi che scrivono sul web, tramortiti alla catena di montaggio del “copia-e-incolla”, estenuati dalle centinaia di foto da dimensionare e inserire nelle gallery).

Ciò che critico di #coglioneNo non è il contenuto, ma la forma. Lo stile. La prospettiva in cui sono girati i video e con cui viene esposta la problematica della creatività giovanile non pagata.
Leggo una sorta di compiacenza vittimistica, di masochismo intellettuale nella figura che, nelle varie vicende, riveste il giovane creativo.
Nei video non c’è una reazione da parte dell’antennista, del giardiniere o dell’idraulico, nel momento in cui sa che non verrà pagato. Lo spot si chiude con la presa per i fondelli di chi ha sfruttato il suo lavoro – “lo metti nel portfolio”, “per questo lavoro non c’è budget” -, senza una reazione della categoria colpita.

Simpaticamente umiliato dal datore di lavoro con le frasi di rito, con la scusa che ha fatto esperienza, il creativo cosa deve fare? Come deve proteggersi? A chi può fare appello per rivendicare i propri diritti? Come possiamo agire affinché chi esca danneggiato da questa vicenda non sia il giovane freelance ma il disonesto? Questa è una parte che, a livello di narrazione e di informazione, avrebbe dovuto esserci e manca completamente. Perché siamo in Italia. Perché i creativi lamentano i propri diritti, ma nessuno gli ha mai insegnato come rivendicarli o non li rivendicano per endemica sfiducia.

Proviamo a vedere i video non con gli occhi dell’antennista, del giardiniere o dell’idraulico come, da un punto di vista emotivo, viene facile fare. Proviamo a immedesimarci nello sfruttatore: guardando i video di #coglioneNO non si sente minacciato, ma quasi trova conferma al suo cinismo.
Sarebbe bello se i creativi di ZERO dopo #coglioneNo facessero una campagna che si basa sul concetto di #pagatoSI.

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