La Rivoluzione verde a Milano. La rivincita di biciclette e bus nella città che spegne i motori.
È questo il titolo di un articolo che ho appena finito di leggere su Repubblica. Una serie di dati che attribuiscono alla mia città un sacco di virtù. Da ciclista, però, quel che mi resta è uno strano mix di soddisfazione e rabbia. Sulla soddisfazione non mi soffermo più di tanto perché è abbastanza scontata. D’altra parte che il traffico motorizzato nelle vie di Milano stesse diminuendo l’avevo capito pedalando in strada prima ancora di conoscere i dati delle immatricolazioni (-40% in quattro anni) e di Area C (30% di auto in meno).
Più difficile invece cogliere il trend favorevole per quel che riguarda la concentrazione di PM10 nell’aria che, a naso, ha sempre un gran brutto odore. Eppure i dati di tutte le stazioni di rilevamento, dentro e fuori Area C, raccontano una netta diminuzione: la centralina al Verziere segna un passaggio da 50 micron per metro cubo del 2011 ai 35 del 2013 mentre in quella di via Juvara registra una diminuzione da 47 a 38. Tutto questo ha parzialmente rimediato a uno scandalo milanese che, al contrario di Tangentopoli, è sempre rimasto sommerso (nell’amministrazione Moratti, direi proprio infognato): il numero di giorni in un anno in cui il PM10 nell’aria ha superato il livello di 50 micron per metro cubo, soglia di tolleranza stabilita dalla Ue. Nel 2011 sono stati 132, che più o meno equivale a dire che per oltre tre mesi i milanesi hanno respirato un’aria oltre il livello di sicurezza.
Soddisfazione e rabbia, riparto dallo stesso dato di cui sopra per dire della rabbia: 69 giorni di PM10 fuori controllo sono ancora tantissimi. Troppi. Ok, sono stati dimezzati, ma direi che l’emergenza è tutt’altro che passata. E il momento di parlare di rivoluzione verde è ancora molto lontano. Anche perché – ed è questo il motivo per cui mi sono un po’ arrabbiato leggendo l’articolo di Repubblica – sembra che il merito sia tutto del sindaco e della sua Giunta, dell’Atm e del bike sharing. Invece l’idea che mi sono fatto è che gran parte del cambiamento sia stato determinato dalle persone e dalle associazioni di cittadini.
Apprezzo quasi sempre gli interventi di Pierfrancesco Maran, l’assessore alla mobilità del Comune di Milano, nonché delegato Anci per il Trasporto pubblico. Eppure non credo che questa Giunta abbia saputo imprimere quella svolta decisiva nelle politiche nel settore della mobilità, come invece molti milanesi si aspettavano (sicuramente tutti quelli che l’hanno votata). A prescindere dagli incidenti di percorso, vedi il caso dell’Area C sospesa a causa del ricorso di un autosilo, dubito che l’aumento dei 17 milioni di viaggi Atm sia merito di un servizio più efficiente, più puntuale, più articolato. Io sono un utilizzatore occasionale dei mezzi pubblici, e non ho dati a riguardo, ma non ho notato grandi cambiamenti nell’offerta e nella qualità del servizio da quando il costo del biglietto è aumentato del 50%.
E allora da dove vengono quei 17 milioni di viaggi in più? Non è che per caso sono frutto di chi ha deciso, per varie ragioni (economiche, ambientali, ecc.) di lasciare la macchina in garage a favore del tram o della metropolitana? Lo dico perché questo è quel che è successo con la mobilità ciclistica. Se oggi ci sono tanti milanesi che usano la bicicletta per andare al lavoro o accompagnare i figli a scuola, infatti, il merito non può essere attribuito all’azione di questa Giunta. Le piste ciclabili vengono ancora costruite secondo logiche superate (vedi il caso del quartiere Solari) e spesso sono condannate a lungaggini incomprensibili (per esempio è il caso della pista sul ponte di Corso Lodi) che creano, inutilmente, disagio e pericolo.
Le zone 30 sono ancora limitatissime, direi quasi a livello sperimentale. È vero che il trasporto delle biciclette sulla metropolitana è diventato più agevole, grazie a un orario più esteso, ma lo scarsissimo numero di bici sui treni mi induce a pensare che l’uso integrato di bicicletta e mezzo pubblici sia ancora un risultato da raggiungere.
Sarò di parte, ma se ci sono più biciclette il merito è soprattutto di esperienze come #salvaiciclisti, la Critical Mass, il Bike Film festival, le ciclofficine. Nel giro di pochi anni queste realtà sono riuscite a dare una voce e un’identità sociale alle tantissime persone che usano la bicicletta. A conferma di questo porto il successo del Bike to school, una “joint venture” tra genitori di bambini delle scuole elementari e i ragazzi della Critical Mass. Andare a scuola in bicicletta era impossibile: troppo traffico, troppo pericolo. La soluzione del problema? Non una petizione per chiedere una pista ciclabile, ma un corteo ciclistico sotto scorta degli esperti della Critical Mass per raggiungere la scuola in mezzo al traffico. In effetti sì, è una rivoluzione. Ma è cominciata per merito dei milanesi.
Per usare un gergo ciclistico, Pisapia ha avuto un ottimo treno che gli ha tirato la volata, tipo quello della Saeco ai tempi di Cipollini. Ora vedremo se saprà arrivare al traguardo.
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