Tweet privati e pubbliche virtù? (basta un pò di Rete per perdere il lavoro).

Sigfrido Maina Non categorizzato 0 Comments

Ho trovato tante considerazioni molto interessanti sul caso di Justine Sacco, dipendente di IAC grossa agenzia di comunicazione che controlla una serie di brand multinazionali importanti (fra i quali anche BlackPeopleMeet.com, sito di incontri per “coloured”), che salendo su un volo di linea destinazione SudAfrica, ha ben pensato di pubblicare un tweet “controverso”.

Ne riepilogo solo qualcuna che trovo molto interessante per i contenuti quantomeno poco scontati rispetto al rumore di fondo scatenatosi in rete da tutto il mondo, a torto o ragione.

Partirei dalla risposta di Massimo Russo a Michele Serra che dal box della famosa “Amaca” si chiedeva quanto sia giusto rovinare la reputazione di una persona a livello planetario a causa di un tweet (e farle perdere il lavoro), se è vero che il Primo Emendamento permette libertà di pensiero e di opinione anche ai membri del KuKluxKlan che hanno la possibilità di incontrarsi liberamente incappucciati in un Headquarter e promuovere l’odio razziale.

Alessandro Gilioli, blogger e giornalista (anche) de l’Espresso, col suo stile effervescente e dissacratorio riesce a riassumere il concetto più classico in termini di personal branding, ovvero: fate sempre attenzione a quello che scrivete e prima di pubblicare pensateci bene. Tipico, accademico, #nonfaunagrinza. Ritroverete identiche tematiche nelle presentazioni delle scuole di social media marketing per almeno tutto l’anno che verrà!

Ma, in un crescendo di argomentazioni, è Massimo Mantellini che esprime a mio parere alla perfezione il vero argomento che c’è dietro questa situazione, incresciosa o forse solamente ingenua o puramente idiota. Ovvero, che tale idiozia se la giocano in parità tanto la Sacco, quanto i suoi datori di lavoro e i “censori della rete”.
Sia chiaro, non è una difesa nei confronti di questa Persona, non abbiamo abbastanza dati a disposizione se non, per l’appunto, quello che la rete ha partorito nelle ore immediatamente successive all’argomento. Informazioni fra l’altro tutte omologate, uguali, senza la minima sfumatura. Un copia-incolla generico di “sentito dire”.

Che Mantellini abbia fatto centro ne è testimonianza il disappunto che ha scatenato proprio nel gregge dei web-delatori, evidentemente toccati nel profondo.

Viene effettivamente da chiedersi se licenziare una persona “a velocità supersonica” esattamente come l’aereo su cui volava, senza rispettare la minima procedura aziendale (lettera, convocazione, confronto con la dipendente), sia un iter corretto. Lo si fa in un Marchionnico Paese come il nostro, figuriamoci nella liberalissima America. Oppure se la necessità di prendere le distanze da quel tweet a favore degli stakeholders (pubblico della rete e investitori..), non sia altrettanto deplorevole da parte dell’azienda, quanto il gesto della sua dipendente. Un segnale di scarso rispetto dei diritti di un lavoratore, quantomeno di potersi difendere. O giustificare.

Viene da chiedersi se la libertà di espressione sia più o meno libera a seconda di quanti followers hai e di quanti leggeranno e commenteranno quello che scrivi. Ma soprattutto, la vera domanda è : quanti di noi nella loro timeline, in assoluta leggerezza hanno più o meno spesso scritto una stupidaggine qualsiasi nei confronti del vicino di posto, di un collega antipatico, o anche solo della compagnia telefonica con cui è abbonato o quella dei treni che gli stanno ritardando l’appuntamento con il cliente che stavano inseguendo da mesi?

La Sacco nel tweet immediatamente precedente a quello incriminato, aveva dileggiato un tedesco a causa del suo odore. (in rete sfido qualunque pendolare a non aver postato qualcosa di simile in vita sua..) Le cose sono due: o questa è razzista “sine condicio” o è solo una cretinetta che ha imparato una delle regole strategiche di twitter per ottenere il numero maggiore di followers. Potrei citarvi decine di account che scrivono stupidaggini per puro egocentrismo e ottengono vagonate di consensi. (Qualcuno ha chiesto le dimissioni di quel politico italiano che ha dato della “scimmia” al ministro Kyenge?).

L’hashtag #HasJustineLandedYet” (“è già atterrata Justine”) con cui il popolo del web ha battuto il tempo della salita al patibolo è sintomatico della velocità con cui in rete si può essere processati per direttissima, ma quel che è peggio, per emulazione (se lo dicono in mille, deve essere per forza vero).

Ma una volta che abbiamo deciso che il comportamento della Sacco non è stato corretto e che un profilo per quanto privato deve tenere comunque conto dell’ambiente in cui si esprime, chi si occupa di valutare il comportamento del’azienda? E’ mai possibile che la Direzione del Personale non si fosse mai accorta prima dell’uso che la sua dipendente faceva dei social network? E questi, sono diventati importanti solo quando è stata la Rete a renderli rilevanti?

E cosa dire poi di coloro che invitavano la gente di colore ad andare ad accogliere la Sacco all’aeroporto e fare foto? La sensazione è che “il branco” sia approdato anche in Rete. E la violenza, per quanto virtuale, non fa meno male.

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